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  • Immagine del redattoreAmaSoglian News

Una vita guadagnata

Immagina di vivere nel 1943 e di essere un ebreo, e dopo un lungo viaggio di essere arrivato in un campo di concentramento ed essere torturato senza pietà fino alla morte.

Solo 24 dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni fecero ritorno da quei campi di morte: una fra queste fu Liliana Segre.


Nata a Milano il 10 settembre 1930, è oggi testimone attiva della Shoah italiana, dal 15 aprile 2021 presidente della commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.

Il 19 gennaio 2018 è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per aver illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale. Il 13 ottobre 2022 ha presieduto la seduta inaugurale del Senato della Repubblica, all’inizio della XIX legislatura, ricoprendo ad interim la carica di presidente provvisorio dell’assemblea, per motivi di anzianità.


Nata in una famiglia di ascendenza ebraica, visse con il padre, Alberto Segre, e i nonni paterni, Giuseppe Segre e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava.


Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 settembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i 4 furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di 13 anni. Dopo 6 giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per 40 giorni.


Il 30 gennaio 1934 venne deportata dal binario 31 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Venne subito separata dal padre, che non rivide mai più e che morì il 27 aprile 1944. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati; dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi nelle camere a gas il giorno dell’arrivo, il 30 giugno 1944.


Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio sinistro. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni, in una delle quali perse un’amica che aveva incontrato nel campo. Alla fine di gennaio 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.


Venne liberata il 1 maggio 1945 dal campo di Malchow, un sotto campo del campo di concentramento di Ravensbruck che fu espugnato dall’Armata Rossa. Al rientro nell’Italia affrancata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane,

unici superstiti della sua famiglia.


Il 5 giugno 2018, durante la discussione per il voto di fiducia al governo Conte, è intervenuta per la prima volta in Senato, ricordando le leggi razziali e il suo ricordo di deportata, suscitando il plauso di tutto il Senato. Ha inoltre dichiarato la sua ferma intenzione di opporsi a qualunque legge discriminatoria contro i popoli nomadi, le minoranze e di astenersi dal dare la fiducia al nuovo governo. La senatrice si è inoltre opposta con fermezza all’abolizione del tema di ambito storico dall’esame di maturità.


Il 7 novembre 2019, a causa delle crescenti minacce e insulti che le erano stati rivolti via internet, il prefetto di Milano Renato Saccone, sentito il comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza, le ha assegnato una scorta.

Liliana Segre è una donna forte, che dopo quello che ha subito potrebbe superare qualsiasi cosa.


A chi vorrebbe andare a visitare Auschwitz, lei suggerisce di andarci d’inverno con il freddo, a maniche corte, e con un po’ di fame, solo per sentire almeno un po’ quello che lei e tutte le persone che erano presenti subirono per anni.

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